BELLINZONA – C’è chi non riesce a liberarsi dalla “sindrome da capanna”, e fa fatica ormai ad allontanarsi dal proprio nido protettivo. C’è chi è in preda alle ipocondrie. E c’è anche chi ha subito un lutto e non ha ancora elaborato la perdita del proprio caro. C’è tanto lavoro per i professionisti della mente, nel post Covid-19. Lo si intuisce anche dalla recente petizione, consegnata al consigliere federale Alain Berset, che chiedeva la copertura da parte dell’assicurazione malattia di base delle sedute terapeutiche online, esplose durante la pandemia. «Non sappiamo quantificare – sottolinea Nicholas Sacchi, presidente dell’Associazione ticinese degli psicologi –. I nostri volontari, attivi presso l’infoline cantonale, hanno raccolto diverse richieste di supporto psicologico. Pensiamo quindi, per esteso, che anche agli studi possano essere giunte nuove richieste di consultazione».
Quali sono i disturbi che più sono stati rimarcati in queste settimane?
«Certamente non per tutti vi è stata una reazione negativa. Ma ci rendiamo conto che il perdurare delle restrizioni ha messo molte persone in uno stato d’inquietudine inedita, a cui è stato difficile fare fronte. Il senso di solitudine, la perdita d’indipendenza nelle fasce anziane della popolazione, le preoccupazioni economiche derivate dalle estese chiusure, lo stress accumulato nella co-gestione della famiglia e del telelavoro, sono solo alcune delle situazioni che hanno generato malessere. In certi casi, hanno portato all’incremento di ansia, irritazione, frustrazione talvolta accompagnata a rabbia, deflessione dell’umore e altri disturbi che possono avere minato le relazioni».
Molte persone hanno perso qualcuno di caro e non hanno avuto la possibilità di elaborare il lutto.
«La perdita di un caro è l’evento della vita in cui tutti noi facciamo esperienza della separazione nella sua forma più sofferta. Le forti limitazioni personali imposte nelle ultime settimane hanno toccato anche le ritualità dell’atto di porgere l’estremo saluto al defunto. Questo ha messo ancora più in risalto l’aspetto del lasciarsi e la conseguente sofferenza».
Quanto può pesare psicologicamente?
«È possibile che in certi casi il passaggio attraverso un lutto senza rituale possa portare a livello emotivo a una difficoltà nel prendere serenamente commiato dal defunto, producendo una maggiore dilatazione dei tempi di elaborazione della perdita. Di grande aiuto sono state però le iniziative, laiche e religiose, che comunque hanno consentito alle famiglie di sentire il conforto di un rito funebre».
La limitazione della libertà personale dovuta a un fattore più grande di noi. Come è stata vissuta dai ticinesi?
«Alcuni comportamenti “fuori dal coro” ci sono stati. Ma nella maggioranza dei casi ha prevalso un senso civico encomiabile».
Un nemico invisibile. La cui sorte non dipende direttamente da noi. La mancanza di valvole di sfogo. Un mix micidiale per chi magari già soffriva di ansia?
«Evidentemente la perdita di controllo circa le proprie abitudini, le preoccupazioni per il lavoro, i propri cari e la famiglia hanno avuto un effetto su ciascuno di noi. Le persone che prima della pandemia avevano difficoltà di ansia, hanno dovuto fare fronte con maggiore vigore alle preoccupazioni emergenti, intensificando le strategie già note per lenire le preoccupazioni, oppure cercando ulteriore supporto».
Per la prima volta da tempo, non abbiamo neanche avuto il classico medico che ci rassicurasse al 100%, visto che del Covid-19 si sapeva (e si sa) poco.
«In realtà abbiamo avuto molto sostegno dalla medicina, nella sua forma più umana, ovvero attraverso la comunicazione. Sebbene senza alcuna esperienza pregressa su questo particolare virus, la medicina si è messa al servizio della popolazione modificando le proprie prassi per permettere ai più un ricovero, adattando il suo gergo per tenerci informati, dimostrandoci che nulla può essere mai dato per assodato finché non lo si è approfondito e ben compreso».
Questo ci deve rassicurare? Il lato umano delle scienze?
«La rassicurazione più grande è stata quella di vedere come in un momento di novità assoluta la scienza abbia avuto la capacità di raccoglierci in un atto di cura collettivo, indirizzandoci con gesti ponderati e precisi».
Come vede, dal punto di vista psicologico, i prossimi mesi? La gente ora vorrebbe incoraggiamenti…
«La tappa più lunga e difficile, dopo una crisi, è come sempre quella che accompagna il cambiamento. Infatti, seppure convinti del declino del virus, non potremo essere certi di riacquisire le nostre complete libertà ancora per qualche tempo.
I nostri gesti saranno ancora limitati, così come il modo di lavorare o di viaggiare.
«Durante la fase più acuta appena trascorsa abbiamo sperimentato nuove forme di adattamento, e questo farà parte del nostro bagaglio di conoscenze anche nel futuro. Certo per alcuni questo periodo lascerà strascichi dolorosi, ma non mancherà la voglia di ripartire, di ricostruire. L’essere umano è di una complessità psicologica strabiliante, e anche quando è ferito, sa sempre riproporsi in modo nuovo e costruttivo».