Il Dottor Rossi: “Hikikomori, le cause? Non solo il Covid ma alcuni cambiamenti sociali”
19 Giugno 2024

Una generazione fragile, che soffre i modelli familiari e sociali che sono cambiati, la pressione del continuo confronto social con gli altri, alle aspettative di un mondo in continua evoluzione, afflitta da una lunga serie di problematiche che il Covid ha solamente acuito. Sempre più giovani, anche giovanissimi, persino bambini, si trovano con problemi a livello psicologico e psichico, da ansia e depressione sino a disturbi del comportamento alimentare, con un aumento preoccupante di coloro che decidono di ritirarsi e non uscire più, vivendo rintanati nel loro mondo, nella loro camera.

Il fenomeno degli hikikomori, termine preso dalla cultura giapponese e che significa letteralmente “stare in disparte”, sta a indicare “i ritirati in casa” ed è ormai divenuto parte del linguaggio comune, tanto da dare addirittura il titolo a una canzone della celebre band del Pinguini Tattici Nucleari.

C’è sempre più necessità di occuparsi della salute mentale di questi ragazzi, per farli stare meglio ed anche per evitare un evolversi delle problematiche anche in età adulta. In Clinica Psiche ci occupiamo di loro supportandoli nei percorsi scolastici, soprattutto in presenza di bisogni educativi speciali, temporanei o no, e con terapie mirate che coinvolgano, se ce ne è l’esigenza, l’intero nucleo famigliare. Presso di noi, per una presa a carico a 360 gradi specializzata sulle loro esigenze, opera come pedopsichiatra il Dottor Giorgio Rossi.

Lavora nell’individuazione dei disturbi e nella definizione di un trattamento mirato, che se necessario integri anche l’uso di farmaci. Negli ultimi anni, il Dottore rileva una crescita di “disturbi ansiosi, depressivi, del sonno, in particolare di disturbi del comportamento alimentare e di rischio suicidario”, un trend che era già in aumento prima della pandemia e che essa ha probabilmente accentuato. I motivi? Di sicuro, “i rapidi cambiamenti economico sociali, il crollo degli ideali, la perdita di autorevolezza del padre ma anche della madre, con il cambiamento dei sistemi familiari, che sono più fragili e meno base sicura, l’espansione del narcisismo ed egocentrismo tra gli umani. Citerei anche l’indebolimento del ruolo di coesione e guida etica e morale del ‘gregge’ da parte degli organi religiosi, molto meno seguiti rispetto a qualche decennio fa, nel mondo occidentale”.

A preoccuparlo c’è l’isolamento sociale, un “fenomeno in progressione, tanto più dopo il COVID. I ragazzi ritirati hanno alcune caratteristiche in comune, ma come accade per qualsiasi disturbo, ognuno ha sue peculiarità e storie personali. Distintivi e sempre presenti sono il ritiro relazionale, spesso la rinuncia o l’impossibilità di frequentare la scuola e la scelta di non uscire di casa, a volte nemmeno dalla propria stanza con isolamento anche dai familiari”.

Il fenomeno dell’isolamento sociale dei giovani si è acuito dopo il Covid. Quali possono essere stati gli inneschi? Una crisi mondiale ha portato a una paura talmente grande da far ritirare nelle proprie stanze molti ragazzi? Oppure, paradossalmente, la mancanza di socializzazione e l’isolamento legati al lockdown hanno portato a una non capacità di uscirne?

“La pandemia da COVID 19 ha complicato la situazione della sofferenza mentale in generale e degli adolescenti in particolare, con una onda lunga di fatica emotiva i cui esiti sono ancora in parte attuali, nonostante il superamento della pandemia. Diversi fattori, aspecifici, hanno peggiorato o fatto emergere tutte le forme di disturbo psicologico, compreso il ritiro: mancanza di relazioni sociali dirette, incertezza del futuro, con ridotta capacità di prevedere e programmare, angoscia di contagio e malattia (che comunque colpisce solo una piccola parte degli adolescenti) che è peggiorata in quarantena, per qualcuno il lutto per la perdita di un familiare, oltre ad aspetti traumatici per quanto provato in relazione alla situazione COVID, continua esposizione a livelli elevati di stress propri e dei familiari, aumento dell’uso di alcol nelle persone vicine e delle violenze domestiche, compresa quella assistita. Inoltre, la coabitazione forzata ha portato a essere maggiormente esposti alla fragilità economica della famiglia, ad una aumentata percezione di intrusività e controllo da parte dei familiari e, fattore da non sottovalutare, la riduzione degli accessi alla psicoterapia e ai servizi, nonostante gli incontri “online” (un servizio offerto in Psiche). Ancora: hanno contribuito al disagio la riduzione di attività fisica, la sollecitazione ad uno sguardo su di sé più ansiogeno per le preoccupazioni sul cibo e il peso (non solo sulle ragazze o ragazzi, con disturbo del comportamento alimentare)”.

Studiare da casa per un periodo ha influenzato il fenomeno dei ritirati sociali?

“Per chi ha usufruito dei privilegi della Didattica a distanza (DAD) e delle verifiche a distanza, come accaduto in diversi paesi europei, la ripresa della frequenza in presenza spesso ha comportato stress e disadattamento alla ripresa delle verifiche tradizionali, spesso aumentate alla ripresa. Anche alcune forme di cyberbullismo sono aumentate con il Covid mentre ovviamente il bullismo “in presenza” è diminuito. Esse possono essere fonte di disagio e isolamento, con il rischio di costituire una spinta al suicidio, specie nei soggetti più fragili, che sperimentano sentimenti di ‘appartenenza contrastata’ (una mancata accettazione del desiderio della persona di appartenere ad un gruppo). Chi viene maltrattato, bullizzato dal gruppo sociale di riferimento, (o dalla famiglia stessa), vive una sollecitazione di sentimenti di mortificazione o vergogna. I ragazzi già ritirati o in difficoltà sociale durante la pandemia si sono trovati quasi più a loro agio nell’isolamento. Coloro che cercavano relazione, desiderandola, ma erano in difficoltà ad ottenerla, alla ripresa della possibilità di contatto diretto hanno vissuto ancora ulteriori problematiche”.

L’unico mezzo di comunicazione per questi ragazzi diventano spesso i social, oppure i videogiochi cui giocano in rete. Ma al contempo, i social stessi vengono accusati di causare l’isolamento sociale: quali sono i meccanismi? Il confronto e la paura dello stesso sono determinanti?

“L’aumento dell’uso problematico e dipendente di internet è da alcuni considerato come fattore, aspecifico, di aumento di depressione e suicidalità, in particolare quando supera le 5 ore al giorno, (per esempio lo scrive Messias nel 2011, un articolo quindi di era pre-Covid), con un uso che può arrivare ad oltre 15 ore in due adolescenti su dieci(come emerso da una indagine all’interno della scuola a Conegliano Veneto, nel 2021) e al cosiddetto ‘vamping’ (vampireggiare, stando svegli tutta la notte), L’uso eccessivo di cellulare e devices è un fenomeno oramai universale, e riguarda i minori ma anche gli adulti, che spesso danno il cattivo esempio: ha modificato gli approcci relazionali, l’uso del tempo, spesso a discapito di altre forme di attività, e la sua percezione. Per i ritirati, l’uso ancora più pervasivo della rete è soprattutto un fenomeno secondario al ritiro: chi è ritirato in casa tende a farlo ancora di più nei devices e nel web, che fa di tutto per creare una dipendenza. La vergogna attraverso i social può diventare un sentimento molto limitante, che si amplifica quando le aspettative di interazione vengono deluse o, peggio ancora, quando per la rete passano stigma, svalutazione, esclusione, aggressività distruttiva e insensibile, con gruppi che espellono o contrastano il desiderio di appartenenza al gruppo di qualche persona”.

In casi del genere, poter comunicare tramite social e mezzi informatici è positivo (quanto meno mantiene un rapporto con l’esterno, seppur virtuale e mediato) o deleterio?

“Rispetto ai ragazzi ritirati, i social e i videogiochi diventano un mezzo di contatto possibile. Quando un ragazzo è ritirato in casa ma gioca online con compagni di ventura conosciuti o sconosciuti, lo spiraglio per la ripresa della socializzazione è maggiore, anche se virtuale, mentre chi gioca da solo è ancora meno disposto a riaprirsi o ad aprirsi. Usare per molte ore i mezzi informatici alla fine fa pensare solo a quello, sclerotizza altre attività utili ad un funzionamento umano soddisfatto (sport, usare la creatività e le mani, interagire con il corpo fisico degli altri)”.

Come possono intervenire genitori e specialisti con un ragazzo che non vuole uscire dalla propria stanza?

“Bisogna intanto capire chi è, quali sono i motivi che determinano il suo ritiro, che risorse, anche emotive, possiedono lui stesso e la famiglia per capirlo e sostenerlo. Spesso si può lavorare solo con la famiglia, perchè il ragazzo non vuole contatti, aiutandola a cercare le strade possibili per una comunicazione migliore e un sostegno emotivo. Se e quando si può lavorare con i ragazzi, bisogna essere prudenti, non fare intrusioni forzate nel suo ambiente, se lui o lei non vuole o non è pronto. Insomma, è importante che non ci siano educatori o psicologi alla porta della sua stanza e nemmeno nella sua casa se lui (lei) non lo sopporta. Si possono quindi concedere i contatti online se ci sono, anche attraverso i videogiochi, ma cercando di contrattare altre attività di diluizione dell’impegno sul web, qualsiasi sia ripristinabile. A volte si possono favorire contatti di gruppo con altri ragazzi online, non necessariamente psicoterapica ma anche azioni ricreative inventate insieme (dai giochi al cinema guardato insieme in rete)”.

Al contempo, quando il ragazzo ritirato smette di non voler uscire per arrivare a non poter più uscire?

“Più tempo passa, più vizioso diventa il circolo, con aumento delle preoccupazioni del contatto e dei sentimenti di vergogna, o di disinvestimento dal mondo relazionale in carne ed ossa”.

In questo quadro complesso, quali soluzioni vede?

“È necessario partire dall’inquadrare il problema diagnostico, le risorse familiari e individuali. Serve poi avvicinarsi in modo progressivo e creativo, seguendo quanto viene consentito dal ragazzo. Quando l’isolamento e il ritiro sociale vengono vinti, si può arrivare ad una psicoterapia, con approcci sia a domicilio che in ambulatorio quando possibile, in un percorso che comprenda anche l’aiuto alla famiglia ed un lavoro di rete con la scuola per prevenire fenomeni espulsivi e aiutare il gruppo classe ad accogliere questi giovani”.