Luoghi comuni e stigmi rappresentano un ostacolo verso l’accesso alle cure psichiatriche e verso la consapevolezza e l’accettazione di problematiche di natura mentale. Solo “i matti” vanno dallo psichiatra? Chi si ammala “di nervi” è “debole”? Se si soffre di ansia bisogna nascondersi?
Frasi fatte, credenze tramandate nei secoli, che ancora impediscono a varie persone di prendersi cura della propria salute mentale. I luoghi comuni sono idee, valori, giudizi, opinioni portati come verità condivise dai più, che entrano nell’immaginario collettivo e vengono ripetute talmente tante volte e da talmente tante persone da essere presi come veri, anche se non lo sono. Sono credenze in grado di tramandarsi nei decenni, resistendo ai progressi della scienza che li negano. E spesso possono causare danni. Lo stigma, a sua volta, è l’attribuzione di qualità negative a una persona o a un gruppo di persone, e ha un duplice effetto, interno e esterno. Infatti, chi le ha si definisce in modo negativo solamente sulla base di quelle, divenendo, nel caso di una malattia, nient’altro che la sua patologia, e al contempo viene escluso e marginalizzato dalla società, portandolo a nascondersi o a rafforzare la sua opinione negativa su sé stesso.
La convinzione che i “matti vanno dallo psichiatra”, ad esempio, nonostante ora delle malattie mentali si conosca finalmente molto, quasi come di quelle fisiche, blocca persone che ne avrebbero bisogno e ne trarrebbero un beneficio ad accedere a cure psichiatriche o semplicemente a una psicoterapia. Per abbattere gli stigmi, dando finalmente alle malattie psichiatriche la stessa dignità che a quelle organiche, la via migliore è la divulgazione, la conoscenza che vada oltre l’ignoranza intesa come non conoscenza.
Finalmente, con il Covid e la nuova legge sulla psicoterapia, arrivate dopo anni in cui la neurobiologia ha fatto passi da gigante, qualcosa sta cambiando, anche se non ancora abbastanza, come spiega lo psichiatra di Clinica Psiche Stefano Broetto.
Dottore, come psichiatra nota ancora degli stigmi radicati nei confronti della sua figura, delle patologie psichiatriche in generale e degli psicofarmaci? Ritiene che essi possano disincentivare chi potrebbe avere bisogno di un aiuto?
“Purtroppo, gli stigmi sono ancora presenti, anche se in maniera minore rispetto a qualche anno fa. Direi che il post Covid ha in un certo senso normalizzato patologie psichiatriche e disturbi come l’ansia, i disturbi di panico, quelli depressivi, anche negli adolescenti, che prima erano vissuti nell’ombra. Si tratta di un processo che era attivo da parecchio tempo, soprattutto nelle culture nordiche, che la pandemia ha accelerato, rendendo la popolazione consapevole di una serie di problematiche e rendendo dunque più facili diagnosi e trattamento. Abbiamo soggetti fragili che adesso hanno il coraggio di cercare un aiuto, anche attraverso la psicoterapia”.
In relazione a essa, che ruolo ha avuto l’introduzione della nuova legge sulla psicoterapia prescrittiva, entrata in vigore nel 2022, che permette a chiunque di accedere a una terapia rimborsabile dalla cassa malati con una prescrizione di un medico, anche quello di famiglia?
“Ha avuto un duplice vantaggio: permettere l’accesso alla psicoterapia a più persone, non solo a chi si rivolge a uno psichiatra, e dare maggiore libertà alla figura dello psicoterapeuta rispetto a quella dello psichiatra. Prima del 2022, solo chi era stato valutato da uno psichiatra aveva diritto a una psicoterapia pagata, da svolgere presso uno psicologo dipendente dellostudio medico e con un setting limitato secondo le indicazioni. Ora le persone possono farsi prescrivere la psicoterapia dal medico di famiglia e scegliere il terapeuta che preferiscono. Che il trend sia positivo lo dicono sia le statistiche relative al numero di sedute erogate da quando è entrata in vigore la legge, anche se sono solo i primi dati, sia quelle riguardanti il numero di psicologi che hanno scelto di aprire un loro studio, svincolandosi dagli psichiatri”.
Le statistiche dicono che nelle civiltà occidentali circa il 10% della popolazione soffre di un disturbo psichiatrico maggiore o minore. Alcuni disturbi psichiatrici maggiori come la schizofrenia colpiscono anche una persona su 100. Almeno 100 milioni di persone nel mondo assumono antidepressivi. Eppure si guarda alla malattia mentale ancora con sospetto. Perché, secondo lei?
“Difficile dare una risposta, sicuramente c’è un retaggio storico e culturale che viene dal Medioevo, dove alcune patologie, viste come più misteriose perché senza una evidente manifestazione fisica, come possono essere lesioni o segni, erano percepite come un castigo di Dio, che puniva, ad esempio, attraverso la schizofrenia. Non si conosceva nulla dei meccanismi per cui si diventava folli, e uso questo termine apposta, perché a mio avviso la follia esiste. Ne hanno parlato i grandi filosofi, dunque perché non farlo noi? Ad ogni modo, si è capito nel tempo che qualsiasi patologia, compresi i disturbi psichiatrici maggiori come depressione grave, delirio, schizofrenia, hanno una radice biologica, e che non è tutto è legato all’educazione e alla cultura, ma che la predisposizione biologica ha un ruolo fondamentale”.
Dunque, sfatiamo un luogo comune: non si “diventa matto” perché si vive un dispiacere o un trauma, giusto?
“Esatto, questa è stata la grande scoperta della neurobiologia e della psichiatria moderna, tant’è che si parla di modello biopsicosociale, il quale dice che la patologia per poter esprimersi deve riconoscere almeno tre basi. Se non c’è la predisposizione genetica o biologica, è difficile avere una patologia psichiatrica maggiore, se essa invece è presente, alcuni avvenimenti della vita possono aiutare a sviluppare la malattia, o in altri termini se si è predisposti a un disturbo grave, molto spesso prima o poi esso si presenta. La biologia è dunque molto importante negli studi psichiatrici e questo a mio avviso avvicina la patologia psichiatrica a quella organica”.
In pratica, anche le malattie psichiatriche sono legate a dei malfunzionamenti, per esempio dei neurotrasmettitori responsabili di sostanze come la serotonina nella depressione. Tornando ai miti, non si è considerati deboli se non funziona correttamente un organo come il cuore o i reni, ma se è il cervello, invece sì. E al contempo la malattia mentale viene percepita come presente unicamente nella testa, concorda?
“Certo, non si dice che un infarto è una punizione divina, mentre della schizofrenia lo si credeva fino a qualche tempo fa. Per fare una analogia, un paziente allucinato va curato in fretta come quello che ha mal di cuore, per il malessere che prova nel momento presente e per il rischio di commettere azioni che possano danneggiare lui o gli altri in futuro. Chi afferma che una patologia psichiatrica non ha manifestazioni fisiche non ha mai vissuto un attacco di panico, che dà la sensazione di morire, sebbene per qualche minuto. Parliamo, dunque, di una malattia molto comune, che può colpire una volta nella vita o con cadenza quasi quotidiana: l’attacco di panico, appunto. Si tratta di una scarica causata da alcune molecole del cervello che creano una fortissima angoscia, un fattore biologico che è sicuramente legato a questioni molto profonde del proprio vissuto. Si divide sostanzialmente in attacco di panico con agorafobia, cioè dove è presente la paura degli spazi aperti, oppure senza agorafobia. Il fatto che spesso si verifichino in luoghi chiusi e stretti come ad esempio gli ascensori, è legato a una forma di ricordo ancestrale, che deriva da quando, da primitivi, si doveva essere pronti a fuggire da gravissimi pericoli, un retaggio che è rimasto nel nostro cervello. Si potrebbe dire che adesso nessun predatore esterno ci insegue, ma che quelli interni possono essere altrettanto pericolosi e dannosi”.
A proposito di luoghi comuni e di scarsa conoscenza, si nota spesso una tendenza dei da parte di alcuni medici di famiglia a prescrivere, in maniera inadeguata ansiolitici o antidepressivi. Come lo spiega? Se un farmaco per il cuore va prescritto dal cardiologo, perché gli psicofarmaci non sono a solo appannaggio degli psichiatri?
“Premesso che gli psicofarmaci possono essere prescritti da qualsiasi medico, e sottolineato che la maggior parte dei medici di famiglia considera fondamentale inviare tempestivamente dallo psichiatra il paziente affetto da una sospetta patologia, per altri il riconoscimento della gravità dei disturbi psichici è più difficoltoso. Magari scelgono la pastiglia giusta, sbagliandone però il dosaggio. Così il paziente, pur assumendo la terapia formalmente corretta, non migliora, e torna da loro, diventando talvolta oggetto di una sorta di operazione di “bricolage”, dove si tenta di alzare e abbassare il farmaco in modo piuttosto indiscriminato. Estremizzando direi che la prescrizione di uno psicofarmaco necessita quasi sempre una valutazione psichiatrica.Non scordiamoci infatti che la patologia mentale ha una complessità maggiore di quella organica, perché oltre al funzionamento del cervello intervengono fattori come quello familiare e ambientale e spesso per curare un paziente serve intervenire anche sul suo sistema sociale e calarsi nel suo ambiente e nelle sue relazioni”.
Esiste, però, una buona collaborazione tra psichiatri e medici di famiglia oppure si parla ancora di entità separate?
“La nuova legge sulla psicoterapia del 2022 ha avuto effetti positivi anche sulla collaborazione tra i medici di famiglia e gli psichiatri. Ora i medici di famiglia inviano i pazienti dallo psichiatra e dialogano maggiormente attraverso l’invio di relazioni cliniche, rapporti e scambiando maggiormente di informazioni con gli specialisti. Da parte nostra, anche noi abbiamo superato una certa presunzione nel voler curare da soli i pazienti, lasciando magari all’oscuro il medico di famiglia che comunque ha il quadro clinico generale del paziente. Tutto ciò sta favorendo il concetto che sta anche alla base della nascita di Clinica Psiche nel 2016, ovvero il lavoro di team a favore della persona presa a carico, attraverso una alleanza terapeutica autentica. Non scordiamo che curare qualsiasi patologia mentale è complesso, perché se in medicina 1+1 può fare 2 ma anche 3 o 4, in psichiatria potrebbe fare 15 o addirittura 0 e questo perché sovente i pazienti, a causa dello stigma, arrivano da noi obtorto collo, spinti da medici di famiglia o dai parenti, e paradossalmente non sono consapevoli di avere una malattia, come nei casi della schizofrenia ad esempio”.
Si è visto come siano ancora fortemente presenti luoghi comuni e stigmi, che influenzano, nonostante i progressi scientifici e di mentalità, la psichiatria. Cosa si può fare, ancora, per combatterli e garantire un migliore e più capillare accesso alle cure?
“Quel che si fa è poco e che a mio avviso è basilare è la divulgazione, che vede la sua etimologia nel termine “vulgus”, quindi il parlare alla popolazione. Bisogna informare le persone, non solo i medici di famiglia, sulla natura delle patologie psichiatriche, sui disturbi dello sviluppo e sulle neurodivergenze. È questo è proprio uno degli obiettivi iniziali che animavano, e tutt’ora animano, Clinica Psiche”.